REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI BARI
N° 31 DEL 11/08/2009
DIRETTORE RESPONSABILE MICHELE CASELLA
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L’UOMO SEME: UN RACCONTO CORALE CHE LEGA LUCERA A MILANO
A Lucera lo scorso 27
gennaio, in programma in un piccolo teatro all’italiana, un gioiello appena
ristrutturato, il Teatro Garibaldi, si è svolto il secondo appuntamento de “La
PrimaVera Stagione” organizzata dal Comune
di Lucera in collaborazione con il Teatro
Pubblico Pugliese e con le associazioni culturali Cadmo e Mediterraneo è Cultura.
Qui, nella cittadina del foggiano, una vera e propria comunità culturale e
teatrale si muove sotto la sapiente guida dell’attore di origini lucerine
Fabrizio Gifuni e di Natalia Di Iorio.
Sul palco del Teatro Garibaldi è arrivato – sarebbe più corretto dire è tornato, dopo il debutto milanese alla Triennale Teatro dell’Arte e le repliche a Verona e Scandiano – L’uomo seme, diretto e interpretato da Sonia Bergamasco accompagnata in scena dal quartetto pugliese delle Faraualla (Loredana Savino, Gabriella Schiavone, Maristella Schiavone e Teresa Vallarella) e dal musicista - performer Rodolfo Rossi.
La drammaturgia dello spettacolo si basa su un memoriale di Violette Ailhaud in cui l’autrice, ormai anziana, ricorda la sua adolescenza, i suoi sedici anni, a Saule-Mort – letteralmente salice – dove la rivolta repubblicana del 1851 ha lasciato un paese senza uomini, così una piccola comunità montana in Provenza abitata da sole donne è costretta ad affrontare, nel quotidiano, questa mancanza “innaturale”. Qui si consuma il tempo dell’attesa e della sofferenza di ogni giorno che racconta di una guerra lontana eppure vissuta sulla pelle delle donne rimaste nel villaggio.
Nel presentare questo spettacolo Sonia Bergamasco cita le parole del premio Nobel per la letteratura Svetlana Aleksievic: “la guerra la raccontano le donne” infatti questa drammaturgia si sintonizza su vibrazioni arcaiche che riecheggiano, più volte, le parole: ventre, terra e vita. Il lessico è aspro e antico come la lingua madre della Ailhaud, quella provenzale appunto, la lingua è declinata su diversi piani: il racconto, il canto, il lamento, il pianto in un dialogo che passa dalla narrazione verbale alla suggestione coreutica. Le Faraualla incarnano sulla scena le donne del paese, figure primordiali che si manifestano nella grande casa albero – realizzata dalla scenografa Barbara Petrecca – al centro della scena.
In un tempo sospeso, irreale, il ricordo degli uomini, di mariti, fidanzati, figli e padri che hanno abitato nel paese svanisce e cede il posto alla disperazione e alla ricerca di simulacri fino a giungere alla definitiva consapevolezza: le donne stabiliscono uno straordinario patto per la vita, decidendo che il primo uomo che arriverà in paese sarà l’uomo di tutte, “l’uomo seme” appunto, colui che permetterà l’affermarsi della vita. La comunità, il bene e la rinascita sono la priorità a cui l’amore e il possesso devono sottostare; la decisione sofferta e condivisa racconta di una consapevolezza e di una lucidità fiabesca ma i termini del racconto sono la storia, l’inseminazione e la ripopolazione di un paesino della bassa Provenza in cui le incertezze – “Ho paura di non saper condividere” dirà Sonia Bergamasco/ Violette Ailhaud quando arriva finalmente l’uomo in Paese – sfumano davanti alla forza di una coesione antropologica.
Questo spettacolo è nato tra le pareti del Teatro Garibaldi durante la scorsa estate, una produzione teatrale che ha legato la comunità lucerina al Franco Parenti di Milano; un dialogo tra realtà differenti, tra artisti eterogenei uniti in un’avventura artistica caparbia e condivisa. Questo spettacolo, la sua storia, fa pensare a Emily Dickinson quando dice: “Non sappiamo mai quanto siamo alti | finché qualcuno non ci chiede di alzarci | e allora se siamo conformi al progetto | le nostre stature toccano i cieli…”.
A cura di Marilù Ursi