REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI BARI
N° 31 DEL 11/08/2009
DIRETTORE RESPONSABILE MICHELE CASELLA
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INTERVISTA A NICOLA GAETA
Martedì 16 maggio si terrà il primo
appuntamento del Loop Festival dedicato a un movimento musicale: BAM (Black
American Music) è la vera novità della musica nera di questi tempi, dove il
suono contaminato dei locali di New York trova nuova forma attraverso una
folgorante miscellanea di stili e linguaggi.
Ospite della serata lo scrittore e
critico musicale Nicola Gaeta, autore di BAM.
Il jazz oggi a New York e di Una preghiera
tra due bicchieri di gin. Il jazz italiano si racconta, entrambi pubblicati
da CaratteriMobili. Gaeta conduce programmi radiofonici dal ’77 per Bari Radio
Uno e Radio radicale, L'Altra Radio, Controradio, RadioNorba. Collabora con il
Festival Time Zones e con il Fez Club di Bari, ha scritto per Barisera,
Corriere della Sera, Corriere del Mezzogiorno/Puglia, Jazz Magazine e Musica
Jazz.
Come
mai nel 2012 si è sentita la necessità di difendere i canoni tipici della Black
Music fondando un movimento in sua tutela?
È stata un’iniziativa di alcuni
musicisti: Nicholas Payton, Marcus Strickland, Gary Bartz, Orrin Evans, tutti
afroamericani, e Ben Wolfe (un bianco), dettata dall’esigenza di rimarcare il
territorio di una musica che sta perdendo progressivamente appeal presso le
nuove generazioni e per motivi diversi. Tra tutti i vari linguaggi della Black Music,
è il jazz quello che soffre di più da questo punto di vista, lo stesso jazz che
continua ad alimentare tutto quello che gli ruota attorno (r&b, hip-hop,
l’elettronica più soulful). Non dobbiamo dimenticare che la gran parte dei
musicisti che partecipano alla realizzazione dei dischi hip-hop dell’inizio del
millennio (Kendrick Lamar et similia)
sono jazzisti che nella loro quotidianità suonano e continuano a studiare jazz.
Alcuni di loro hanno assunto un atteggiamento più radicale (Nicholas Payton),
altri più morbido (Gary Bartz), ma tutti pensano che il jazz, così com’è
vissuto musicalmente oggi, stia perdendo sotto molti aspetti le caratteristiche
che lo hanno reso uno dei grandi movimenti culturali del Novecento. Cercano di
fare qualcosa per riappropriarsi di un mondo che, secondo loro, per diversi
aspetti, è stato usurpato. Non è una novità: sin dalla prima metà del secolo
scorso molti musicisti, soprattutto afroamericani, hanno sentito questa
esigenza.
Ritieni
che questa scelta sia dettata da un atteggiamento conservatore o si tratti di
una precisazione necessaria che pone le basi di nuove sperimentazioni?
Non credo abbia a che fare con la
musica e con la sua evoluzione. Piuttosto con le complesse implicazioni
razziali che da sempre negli Stati Uniti rendono difficili le relazioni tra le
varie etnie. E non parlo soltanto degli afroamericani, anche se questi ultimi,
com’è noto, vi sono maggiormente coinvolti. I detrattori di questa rivendicazione,
che per alcuni è semplicemente terminologica, sostengono che Nicholas Payton
(un musicista eccellente, il primo ad aver sollevato la questione) abbia
inventato un escamotage per farsi un po’ di pubblicità.
Chi
sono Nicholas Payton, Gary Bartz, Orrin Evans, Marcus Strickland, Ben Wolfe e
cosa hanno in comune? Come hanno deciso di teorizzare il movimento BAM?
Sono alcuni dei tanti, tantissimi
jazzisti (chiamiamoli ancora così per intenderci) che letteralmente affollano
il mondo musicale americano. Ognuno di loro è riuscito a crearsi una
riconoscibilità musicale e strumentale precisa. In modo particolare Gary Bartz
è considerato uno dei grandi vecchi, ha suonato con Miles Davis ed è il
sassofonista che si vede nei filmati dell’esibizione all’isola di Wight. In
comune hanno l’amore per la musica nera, in modo particolare per quello che
moltissimi continuano a chiamare jazz. La loro iniziativa di preservarne le
caratteristiche in qualcosa che si chiami in un altro modo potrebbe sembrare un
controsenso, una contraddizione e, va detto, BAM è soltanto un’etichetta, ma a
queste latitudini è una questione difficile da comprendere. BAM (o come diavolo
si voglia etichettare la loro musica) è semplicemente un modo per prendere le
distanze da un mondo annacquato dal punto di vista creativo, inquinato dallo
show business, un mondo che sta allontanando le giovani generazioni dall’avere
cura e attenzione per le proprie tradizioni. Ho parlato con molti musicisti
afroamericani (in gran parte sensibili e privi di alcuna forma di
prevaricazione razziale) che mi hanno detto che ad Harlem i ragazzini sanno
tutto di Beyoncé ma non conoscono Duke Ellington, anche se le istituzioni gli
hanno dedicato una statua. Ed è singolare notare che molti musicisti bianchi
(vedi appunto Ben Wolfe ma anche Peter Bernstein, un famoso chitarrista, e
tanti altri) sono dalla loro parte.
A
Bari ad aprile del 2015 si è tenuto il “BAM festival” con concerti, jam session
e Masterclass; come è approdato a Bari al movimento coordinato da Nicholas
Payton?
Mi è capitato di andare a New York
quattro anni fa per scrivere un libro sulla nuova scena del jazz nella Big
Apple e di essermi imbattuto in una questione molto sentita tra i musicisti. Mi
è parso interessante dedicare una manifestazione all’idea di BAM soprattutto
per avere l’opportunità di far suonare musicisti eccezionali che dalle nostre
parti suonano poco e, di conseguenza, sono poco conosciuti. La gran parte di
loro fanno dei set assolutamente godibili, pur mantenendo integro un assetto
intellettuale di alto profilo. Insomma fanno una musica divertente e nello
stesso tempo non banale, assolutamente coinvolgente e che in Italia, per
qualche strano motivo, non è considerata dai direttori artistici dei vari festival
che affollano il panorama peninsulare e che propongono sempre i soliti nomi
dando l’idea al pubblico che il jazz (io lo chiamo ancora così per mia
comodità) sia una musica che sta morendo. Non è così. In più per quanto mi
riguarda il termine BAM è attraente perché mi dà l’opportunità di inserire nel
cartellone (avendone le possibilità economiche) artisti hip-hop, r&b ecc.
che sono quelli, secondo me, che stanno firmando le pagine più importanti e
divertenti della musica di consumo dei nostri giorni. In contrapposizione con
tutte le operazioni di retromania, per citare Simon Reynolds, che oggi hanno
fatto ritornare di moda le reunion di rocker rincoglioniti dalle droghe e
dall’età, le rimasticate riproposizioni di generi musicali già abbondantemente
frequentati in passato, la ripresa del mercato del vinile, assolutamente
ininfluente dal punto di vista commerciale, la moda vintage, e chi più ne ha
più ne metta.
a cura di Marilù Ursi
LOOP FESTIVAL: BAM
MARTEDì 16 MAGGIO
Con Nicola Gaeta [Musica Jazz]
e Michele Casella [Direttore artistico Loop Festival]
@ Cineporti di Puglia / Bari
Padiglione 180, Fiera del Levante
Lungomare Starita, 1
70132 Bari
www.loopfestival.it
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#LoopFestival
INGRESSO GRATUITO