REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI BARI
N° 31 DEL 11/08/2009
DIRETTORE RESPONSABILE MICHELE CASELLA
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INTERVISTA A BARBARA CARFAGNA, OSPITE DI L.INK
L.ink Festival, in arrivo la terza edizione. Dal 19 al 23 ottobre, cinque giornate dedicate alla comunicazione e al giornalismo: una full immersion nella professione, nella passione e nelle dinamiche dell’informazione contemporanea.
In attesa del suo intervento, lunedì 19 ottobre a Bari, la voce e il pensiero di Barbara Carfagna, giornalista e conduttrice del Tg1.
Quanto e come la digitalizzazione ha cambiato la televisione? In particolare telegiornali digitali e innovativi come Sky, hanno penalizzato i vecchi format?
Non credo che abbiano penalizzato i vecchi format, ma che ne abbiano creati di nuovi. Rispondendo ad un’esigenza di differenziazione che trova il suo corrispettivo in una società che cambia (anche grazie alla tecnologia) molto più rapidamente che negli anni Sessanta del ’900, quando è nata la tv. Va detto che l’Italia non risponde come gli Stati Uniti ai telegiornali All News. Una grossa parte del Paese ha ancora bisogno di una “piazza” comune in cui ritrovarsi, con contenuti selezionati di cui discutere. Infatti il primato del Tg1 non è mai stato messo in discussione dagli ascolti, nonostante tutte le innovazioni e le alternative.
Un’altra parte del Paese, quella delle nuove generazioni o dei professionisti che usano molto il “mobile”, che hanno un’avanzata cultura digitale, ha bisogno di contenuti giornalistici mirati da ritrovare subito, magari su Twitter, senza un contenitore che li organizzi e senza un anchorman che li presenti.
Il 22 ottobre in Italia arriva Netflix, il servizio streaming americano. Cambierà ancora la Tv?
Certo che cambierà la televisione, per chi avrà voglia di cambiare se stesso, le proprie abitudini, ed accogliere l’innovazione. Per chi saprà e vorrà scegliere da solo. Ma gli altri non verranno lasciati indietro. Il lato positivo è proprio nel ritorno alla centralità dei contenuti, che si muoveranno, mutando, tra le diverse strutture, adattandosi ai differenti device e ai differenti tipi di pubblico.
L’etica, ieri e oggi a confronto.
Sempre più, nelle società e nelle organizzazioni complesse, sarà l’etica a identificare il giornalista, in un mondo in cui tutti sono comunicatori nei social. L’etica e la reputazione saranno centrali per farsi scegliere da chi legge o guarda le news. Nulla a che vedere col passato, in cui il nome della testata era centrale. Oggi il nome del giornalista è il vero brand. Per fare un esempio prima le testate erano i treni sulle rotaie, a prescindere da chi fosse il passeggero, o il capotreno (il direttore). Oggi le testate (o Facebook, che tra un po’ distribuirà contenuti giornalistici) saranno le autostrade su cui il giornalista-auto corre da solo alla guida della sua vettura.
Il giornalista contemporaneo: quali i vantaggi e/o gli svantaggi rispetto alle scorse generazioni?
Essere giornalista oggi significa dover verificare e studiare con maggiore accuratezza le notizie in un mondo che corre talmente veloce da rendere impossibili proprio le verifiche. In più tutto resta online, sottoposto al giudizio e alla verifica per un tempo illimitato. Ci sono “giornalismi” diversi, mentre prima tutto era più semplice e regolare. Una parte del mestiere può essere svolta da algoritmi, le infografiche sostituiscono la scrittura. La centralità dell’opinione e del giornalismo emotivo viene meno in favore dei dati verificabili. Uno scenario più complesso, che ognuno può interpretare secondo la propria indole. Resta un gran bel mestiere, ma ora è più difficile se lo si vuole fare bene.
Lei si occupa di emigrazione, di etica e di innovazione. Qual è il filo rosso che collega tutti questi temi?
Non c’è necessariamente un filo rosso, quanto una ricerca. La mia ricerca è sempre stata quella sulla natura umana nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle società complesse.
Come una notizia può essere violenta?
La notizia non è di per sé violenta. È il fatto raccontato che può essere violento; o il modo di proporlo. La verità, come la natura umana, è comunque spesso di per sé violenta. Si impone. Bisogna capire cosa sia una notizia oggi, visto che siamo travolti da mille input e racconti quotidiani. E con quale criterio scegliere.
Opinione sul canone, da giornalista e dipendente Rai.
Il canone ha un senso finché ha un senso la proposta che la Rai fa. Ad esempio quando si impegna, come ora il nuovo DG, a disegnare il futuro, ad assumere un ruolo di guida per ridurre il digital divide che spezza in due l’Italia.
a cura di Annarita Amoruso
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