REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI BARI
N° 31 DEL 11/08/2009
DIRETTORE RESPONSABILE MICHELE CASELLA
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LE FUGHE NELLO SPAZIO E NEL TEMPO DEI BEACH HOUSE
Tutto cominciò con un viaggio, quando nel 2004 Victoria Legrand da Philadelphia si spostò a Baltimora, conobbe Alex Scally e mise in piedi il duo che avrebbe dato vita ai Beach House; la storia proseguì con un viaggio quando nel 2005 il neonato gruppo girò il suo primo video (Apple Orchard), amatoriale, sul treno che collega Philadelphia a New York e che anticipò di un anno l’uscita dell’album di esordio della band (Beach House). Lo sguardo del gruppo è quello di un continuo spostamento tra i paesaggi statunitensi desertici: dal videoclip di Used to Be, brano contenuto nel terzo disco Teen Dream, fino ad arrivare al cortometraggio Forever Still, che ha accompagnato l’uscita dell’ultimo CD Bloom.
La band ha variato nell’aspetto visivo alla ricerca di una strada, un percorso che ha portato al tema del viaggio, dello spostamento, fisico e temporale, tra luoghi e dimensioni differenti. Le origini francesi della Legrand non impediscono ai Beach House di entrare a gamba tesa in uno dei grandi monumenti tematici che accompagnano la cultura statunitense.
In Teen Dream coesistono l’astrattismo visivo di Zebra, in cui solo le parole richiamano alla mente quelle atmosfere che ritroveremo nei video successivi – «Wilderness for miles» – ed esperimenti che ci illuminano sul momento critico in cui i Beach House si trovavano; uno snodo in cui erano presenti più sperimentazioni di videoclip legati al brano Used to Be. Esistono, infatti, oltre alla versione acustica accompagnata da un video girato in spiaggia, due videoclip originali legati a questa traccia: il primo diretto da Sean Pecknold, una coreografia cyber tutta incentrata sulla computerizzazione di volti e corpi associati a un paesaggio fantascientifico popolato da robot; il secondo, diretto da Matt Amato, in cui sono già presenti le atmosfere che caratterizzeranno lavori come Forever Still, soprattutto per quel che concerne le ambientazioni, con le atmosfere tipicamente americane dove camion, treni merci e auto decappottabili anni Cinquanta attraversano paesaggi desertici, popolati solo da bar e pompe di benzina sorte in mezzo al nulla.
Il paesaggio come distanza e sospensione, il deserto come luogo di solitudine e allontanamento dalla civiltà, la musica come elemento di ritorno al passato, un sound vintage che si lega perfettamente ai luoghi disabitati e desertici. Un evidente indirizzo verso questa linea visiva si manifesta nella ripresa di particolari, spesso da angolazioni distorte, di un paesaggio roccioso, quasi lunare, all’interno del videoclip di Saltwater, girato da Justin Durel in una modalità volutamente amatoriale, con il sole che infastidisce le riprese.
Nel 2012 viene pubblicato Bloom, il più recente degli album della band di Baltimora, accompagnato da Forever Still, un cortometraggio di poco meno di mezz’ora in cui i Beach House eseguono i brani Wild, The Hours, Wishes, Irene nei dintorni di Tornillo, in Texas, dove è stato registrato l’album. Un espediente promozionale che concretizza ancora di più il legame tra il sound dream pop e le atmosfere desertiche di cui la performance sonora si avvale. Un concerto on the road girato dalla stessa band in collaborazione con Max Goldman rende perfettamente il legame tra la scelta musicale e una cornice suggestiva come quella texana. Nulla di nuovo se si pensa a quel memorabile esperimento musicale e visivo side-specific che fu Live in Pompei dei Pink Floyd, ma una direzione certa è ormai stata scelta della band di Baltimora, tra le più prolifiche del panorama statunitense, che in sei anni è riuscita a orientarsi verso una linea guida visiva perfettamente riconoscibile all’interno della costruzione artistica musicale che guarda verso il passato, da cui recupera sonorità e aspetti visivi (si pensi alle immagini di Lover of Mine, girato strizzando l’occhio ai video amatoriali creati grazie al found footage) e all’attenzione preponderante verso alcuni aspetti della società americana come habitat naturale di falsi miti: tra gli ultimi esempi in questa direzione di certo si muove il video Wishes, diretto da Erich Woreheim.
Se la scelta è verso il deserto è proprio perché nella società esistono energie deleterie, e videoclip come Lazuli e Wild dimostrano proprio questo, l’impossibilità di gestire rapporti e situazioni in una condizione di vita quotidiana; a questo si accompagna lo sguardo indietro nel tempo che caratterizza i Beach House focalizzandosi su alcuni temi: l’America degli anni Cinquanta, culla del boom economico, e l’ottimismo anni Ottanta sono costantemente presenti nell’immaginario visivo della band, tramite una lente che riesce a unire nostalgia e disaffezione critica contemporaneamente.
In Lazuli è ancora fortemente presente quell’aspetto dei Beach House legato all’immaginario cyborg anni Ottanta, alla relazione tra diverse dimensioni spaziotemporali; visivamente il tutto si manifesta con un’esplosione di colori e di animazioni digitali che si alternano a carrelli e panoramiche del tutto realistiche legate alla quotidianità; l’elemento della tv diviene un ponte tra la contingenza e un universo parallelo, oppure, come in Wild, una manifestazione virtuale e metaforica di ciò che accade nella realtà. Una critica sociale ironica e divertita con uova che esplodono in una cucina qualsiasi dove una casalinga qualunque può attraversare dimensioni spaziotemporali differenti (Lazuli) o il semplice uso del playback e del rallenty che sbriciolano l’autorità di una manifestazione sportiva, come accade in Wishes.
Verso il deserto o verso una realtà parallela, ‘fuga’ è la parola chiave: che sia questo il motivo del viaggio da cui tutto è cominciato?
A cura di Marilù Ursi