REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI BARI
N° 31 DEL 11/08/2009
DIRETTORE RESPONSABILE MICHELE CASELLA
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IL SUONO CIRCOLARE DEI BEACH HOUSE E L'EREDITà DELL'ETICHETTA 4AD
«I find it really hard to go to a Beach House concert. I see the way people look at Victoria Legrand. It's like I'm revisiting what it was like to see a sea of thousands of faces look at Elizabeth, just madly in love with her… I think it's really emotional, their music».
Simon Raymonde (Cocteau Twins)
«Under the Radar», November/December 2013
Ci sono suoni che entrano nell’immaginario collettivo per diventare dei veri marker generazionali. Sono quelli che segnano il tempo in maniera indelebile, che ti risucchiano d’improvviso nel passato, spesso saccheggiati da giovani musicisti in mancanza di ispirazione. E poi c’è qualcosa di più, ci sono suoni talmente originali da risultare permanenti, capaci di racchiudere l’essenza di una scena e difficili da copiare senza far gridare al plagio. La 4AD di Ivo Watts-Russell è senza dubbio una delle poche etichette discografiche le cui musiche appartengono a questa seconda categoria, una label che nel ventennio '80-'90 ha radicalmente cambiato la musica britannica moderna e integrato la classicità con le spinte innovative dell’elettronica. Dall’ecletticità della 4AD sono arrivate le urgenze espressive di una manciata di band, ottimamente sintetizzate in due memorabili compilation: la splendida Lonely Is an Eyesore (1987) e la (quasi) irreperibile Lilliput. Si tratta di gruppi che attingono a folk, rock, barocco e classica contemporanea, miscelando l’estetica del post-punk alle armonie più eteree del pop. Stiamo parlando di Dead Can Dance, Lush, The Wolfgang Press, Throwing Muses, ma soprattutto di This Mortal Coil e Cocteau Twins.
Come spesso accade, la musica di queste band ha lentamente trovato spazio in Europa per poi raggiungere le lande d’oltreoceano, radicandosi nei sogni pop di artisti, cineasti e ascoltatori. Da David Lynch a Greg Araki, da Peter Jackson a Chris Fisher, da Harold Budd ad Antony and the Johnsons per poi arrivare ai giovani Hundred Waters, sono innumerevoli gli artisti che hanno scelto questa particolare esperienza made in UK per assimilarla e incorporarla nelle loro personalissime opere. Tra di essi, però, i Beach House restano la formazione che meglio di tutte ha recuperato questa eredità per creare qualcosa di inedito. Pubblicati fin dal primo album dalla Carpark di Washington D.C., Victoria Legrand e Alex Scally hanno infatti sviluppato un rapporto privilegiato per il mercato europeo con la londinese Bella Union, la label nata proprio dalle ceneri dei Cocteau Twins. A guidarla troviamo infatti Simon Raymonde, che riconosce da subito le affinità con il suono 4AD e decide di lanciarli fin dal 2006 con il loro album omonimo. Caratterizzato da una struttura più semplice e da una produzione meno invasiva, questo debutto su lunga distanza mostra già gli elementi fondanti della musica à la Beach House: dalle atmosfere soffuse ai ritmi rallentati, dalla voce malinconica della Legrand alle fondamentali tastiere dal suono cangiante. I primi ascoltatori che si appassionano al duo di Baltimora sono proprio gli affezionati alle melodie eteree, a quel cream pop che è diventato marchio di fabbrica della stagione d’oro delle produzioni firmate da Ivo Watts-Russell. Il viaggio, però, è appena iniziato, e il seguito del 2008 rappresenta un grosso salto di qualità per la carriera della band. In maniera similare alle uscite dei This Mortal Coil, Devotion è composto da nature morte musicali pervase da uno spleen tutto europeo, spesso delicate come una nenia notturna oppure deflagranti in aperture di forte impatto emotivo. Con il secondo singolo estratto, Gila, Legrand e Scally delineano in maniera esemplare la loro personalissima idea di suono, in cui la circolarità della composizione crea un meraviglioso effetto psicotropo, cullando l’ascoltatore attraverso un caleidoscopio strumentale e vocale che culmina in un refrain assolutamente irresistibile.
Il passaggio americano alla Sub Pop non interrompe il perfetto affiatamento con la Bella Union, e nel 2010 arriva il primo vero successo internazionale con Teen Dream. Accompagnato nella versione in vinile da un DVD in cui ogni traccia vede il suo folle corrispettivo video fatto di narrazioni quantomeno surreali, l’album mette in fila una serie di brani in cui melanconia e romanticismo convivono alla perfezione nell’intreccio di riverberi e canto. Resta imperdibile la geniale progressione di Norway, volutamente obliqua nelle chitarre e oniricamente trascinante nelle ritmiche, così come si rivela indimenticabile la sorprendente Walk in the Park, desolata nelle liriche ma trasognata nelle musiche. E se Teen Dream è forse il momento più alto della discografia dei Beach House, è con Bloom del 2012 che il duo diventa icona degli indie kids e si avvicina ancor più alle sonorità dei Cocteau Twins. Fin dalla opening track Myth le chitarre prendono una forma decisamente affine alle dilatazioni immaginate da Robin Guthrie, mentre con Wild scopriamo l’anima voluttuosamente appassionata della band, guidata da un memorabile giro di chitarra e da una melodia a dir poco trascinante. Lazuli, al contrario, sembra un estratto degli ultimi singoli dei Cocteau Twins (quelli di Milk & Kisses e per intenderci), con le sovrapposizioni e i vocalizzi di una Legrand in stato di grazia. In un percorso compositivo in continua progressione, è infatti il periodo dei Cocteaus su Fontana Records – immediatamente successivo a quello su 4AD e legato alla conclusione del sodalizio d’amore e arte fra Elizabeth Fraser e Robin Guthrie – a segnare la nuova pubblicazione dei Beach House e a imprimere la vera svolta di notorietà mondiale.
Con quattro album di ottimo successo e una popolarità in continua ascesa, resta adesso da capire cosa avverrà nel futuro della band. Sarà ancora possibile optare per un suono concentrato su riverberi e voce, loop e battuta lenta o sarà necessario determinare uno scarto stilistico più di rottura? Il rischio è quello di cadere nell’autocitazione, ma all’altro estremo vi è il pericolo di allontanare il pubblico di affezionati. Un pubblico trasversale per età e ascolti, che possiede i dischi degli Slowdive come di St. Vincent, che passa dalla chill wave di Washed Out all’oscurità dei Dead Can Dance. Un pubblico assolutamente composito, come il sound dei Beach House e delle band che ne hanno costituito l’ispirazione diretta.
A cura di Michele Casella