REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI BARI
N° 31 DEL 11/08/2009
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IL TEMPO E LO SPAZIO NEI SIGUR ROS
Un corpo, per liberarsi da tutto, si espande, si dilata, si estende, si ritrae e alla fine esplode.
Dal 1997, data di pubblicazione del primo album, a oggi i Sigur Rós hanno strutturato le loro composizioni sulla dilatazione dei tempi, degli spazi, della musica stessa. Parallelamente è avvenuto qualcosa di simile anche nei loro video. Le loro musiche, lontane concettualmente dal modello di canzone classico, hanno espanso i tempi allungando le note e i silenzi, ritraendo un movimento intimista interamente dedito alla ricerca, alla rabbia, all’esistenza stessa.
Il loro primo video, Svefn-g-englar (1999), ridispone il corpo danzante, in questo caso di ragazzi disabili e con la sindrome di Down, al centro di una radura apparentemente infinita. È il corpo che cerca una via di fuga, uno sfogo, ma anche una collocazione. La danza è la forma di riappropriazione dei propri limiti fisici, limiti che sono nello stesso momento forza e smarrimento nell’infinito circostante.
Ma la volontà di oltrepassarsi come essere umani è una volontà di non accettare le regole anche a livello musicale: famoso è in questo senso l’aneddoto sul rifiuto della band islandese di suonare al David Letterman Show nei soli tre minuti proposti, non avendo canzoni di quella durata nel loro repertorio. I tempi dilatati e la lunghezza dei brani sono la diretta conseguenza del progetto di liberazione dalla propria condizione di essere umano finito.
La seconda tappa di questo percorso è Vaka (Untitled track #01, 2003), video all’interno del quale la corsa dei bambini, con indosso maschere d’ossigeno, all’interno di un mondo non terrestre, riporta ancora una volta il desiderio di andare oltre, di spingersi verso il limite e scavalcarlo. Dalla danza alla corsa in altri mondi, i Sigur Rós ci portano nell’acqua: il nuoto sarà la terza tappa con il video di Sæglópur (2006). I corpi qui si arrotolano, si toccano, si muovono completamente liberi nell’acqua: è mostrato ancora una volta il desiderio d’esser qualcosa in più, di poter uscire o di portare ai limiti l’esperienza. Ma la trasposizione della curiosità nel campo sensoriale e musicale si sposta anche all’interno delle età: nel video di Hoppípolla (2005) vediamo che a correre, giocare e riappropriarsi del corpo saranno degli anziani, spinti anch’essi dal desiderio di giocare, di ridere e di liberarsi in senso letterale.
Il compimento di questa prima fase – l’espansione – è nel film Heima (2007). L’Islanda diventa protagonista assoluta del documentario; il tour dei Sigur Rós toccherà diversi luoghi dell’isola assolutamente sperduti, Jónsi dirà che dopo aver suonato in grandi città affollate, il loro desiderio era tornare in Islanda, dove c’è tanto spazio. Suoneranno gratuitamente in vecchie fabbriche abbandonate, in radure nei pressi delle dighe, in vecchie case, praticamente in ogni luogo possibile. Il rapporto con lo spazio della loro terra d’origine sarà il filo conduttore della rappresentazione stessa. La forza della natura, le cascate, la corrente dei fiumi e del mare, le scie delle navi saranno montate sulla musica mischiando definitivamente il linguaggio musicale con quello visivo, con il risultato che è sotto gli occhi di tutti: la musica sembrerà una diretta emanazione della forza della natura islandese. Ne è simbolo la marimba cromatica costruita da un artigiano locale con le rocce piatte di alcune montagne. Quelle rocce diventeranno lo strumento, la musica stessa che i Sigur Rós suoneranno.
Se il percorso di espansione e di dilatazione del corpo è stato il primo passo verso un’espansione e una dilatazione musicale, questa ricerca nei confronti dei limiti (corporei e mentali) ha riportato, pochi anni dopo, i Sigur Rós a ritrovarsi davanti a un movimento opposto: la compressione prima dell’esplosione. La presentazione di Gobbledigook (2008) è esattamente questo: le musiche abbandonano momentaneamente il rallentamento dei tempi, i silenzi e l’intimità delle note e lasciano spazio a un singolo breve – tre minuti circa – con un’energia che prende ancora una volta la forma della corsa in una foresta da parte di corpi nudi, che giocano, ridono, ballano, si toccano, non si fermano davanti a niente, si tuffano, gioiscono nella forma del godimento, ancora una volta cercano una libertà, fisica e mentale, che ci avvicina sempre più al deflagrare, all'incapacità di contenere.
La sorte del video Gobbledigook non sarà fortunatissima, la censura dovuta alla messa in mostra dei corpi sarà puntuale, andandosi a scontrare però con un video che di oltraggioso non ha nient’altro che la forza, atto intermedio prima della liberazione definitiva del corpo che avverrà sia musicalmente sia visivamente nel loro ultimo video ufficiale.
Brennisteinn (2013) è l’ultima tappa di questo percorso. La musica è ormai lontana dalle sonorità lente e intimiste dei primi singoli, i Sigur Rós sono vicini alla forza delle cascate, del mare e del vulcano islandese. Forza e dolcezza. E così anche il video girato da Andrew Huang avrà il giallo come colore dominante e l’esplosione, la deflagrazione dei corpi, come traccia. I tessuti strappati si placheranno solo con il volto di Jónsi fumante e di profilo, un volto che sembra pronto anch’esso a esplodere.
Il video si concluderà con una corsa, con la polvere di una terra che sembra andare in frantumi, mille pezzi che saltano da tutte le parti. Nello stesso modo i suoni delle canzoni saranno meno puliti e più rumorosi, tutto si mischierà ancora una volta in favore di una energia che è l’energia della natura, l’energia di un corpo che non riesce a placarsi, che non riesce ad arrendersi alla sua necessità d’esser solo quello che è: un mero corpo mortale.
Ma le sonorità dei Sigur Rós ci riportano appunto a questo: dovremo liberarci da tutto, espanderci, correre, dilatarci, estenderci, ritrarci e alla fine esplodere, pur di sentirci liberi.
A cura di Luca Romano