REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI BARI
N° 31 DEL 11/08/2009
DIRETTORE RESPONSABILE MICHELE CASELLA
COPYRIGHT POOL ASS.NE DI PROMOZIONE CULTURALE - C.F. 91088660724
LA ROBOTIZZAZIONE DEI DAFT PUNK
Michel Gondry ricorda bene il suo incontro con i Daft Punk e i dubbi iniziali sul videoclip da realizzare per loro. Nel documentario a più mani I’ve Been Twelve Forever (2003), parlando della produzione e delle invenzioni di Around the World, il regista racconta infatti che «durante la conversazione fu menzionata la parola ‘dance’»: parola tradotta spesso nei videoclip in un modo che «è sempre tutto energia e sesso, con la coreografia tagliata a pezzi per esaltare il ritmo del montaggio. Tutto quello che odio». «Così ho ascoltato la canzone in continuazione […]. Ho separato ogni strumento nella mia mente. Ho realizzato come la musica fosse geniale e semplice al tempo stesso», ci dice Gondry.
Ed ecco Around the World, dall’album di esordio dei Daft Punk, Homework (1997): hit di enorme successo e video a coagulare immaginari così lontani e così vicini, cresciuti necessariamente su altri già codificati e diffusi, consumati o ancora attivi, con altri ancora a schiudersi; il genio e il gioco di Gondry e l’universo Daft in un’esplosione ipnotica, pezzi al contempo dentro e fuori la norma dell’adesione al mondo e alle sue finzioni, in and off non etichettabili, mai definitivi, straordinariamente sfuggenti. Frammenti fantastici, meglio ancora sentimentali: come sentire il mondo, ancora. E sentirlo dopo. Qui, come scrive Bruno di Marino su «Alias – il Manifesto», «tutti inscenano un balletto-girotondo (‘intorno al mondo’, appunto, è il titolo del brano) al ritmo della musica elettrofunky, come se fossero in un coloratissimo show televisivo, dove l’iconografia della vita si mescola a quella della morte».
Si tratta, aggiunge Cristiano Dalpozzo, di «un carillon dal meccanismo perfetto e psichedelico per un brano che fa dell’ossessività uno dei suoi punti di forza». Un video dove «ciascun gruppo di ballerini segue un preciso strumento ovvero gli atleti seguono le linee del basso, gli scheletri la chitarra, le disco girl il sintetizzatore, i robot la voce e le mummie la drum machine». Cinque gruppi da quattro, cinque sorgenti di movimento, una coreografia a orologeria, alla Busby Berkeley ma schizzata in un futuro rétro.
Non appaiono i due, i Daft Punk, Thomas Bangalter e Guy-Manuel De Homem-Christo. E non ci sono neanche nel videoclip precedente, quello di Da Funk, girato da Spike Jonze (altro cercatore di forme), il pezzo che segnerà l’effettivo avvio della loro ascesa, dopo l’esordio con il singolo The New Wave nel 1994.
Il duo francese, rileva Paolo Peverini, nasce come «fenomeno musicale assolutamente misterioso, ‘senza volto’». Anche se, in realtà, tempo prima un volto ancora c’era, pure in copertina, per esempio quando Thomas e Guy-Manuel, insieme a Laurent Brancowitz (poi nei Phoenix) erano i Darlin’, gruppo rock dalla vita corta.
«Generalmente», continua Peverini, «nei video realizzati per la musica dance regna la tendenza a valorizzare il corpo della star sfruttando vistosi effetti speciali; al contrario, in Da Funk i due autori sono del tutto assenti: il protagonista del video è infatti una creatura ibrida, un uomo con la testa di un cane, peraltro realizzata non con elaborati effetti speciali ma con una semplice maschera, segno esplicito di una messa in scena artificiale». Un uomo/cane, Charles, con stampella e stereo per le vie notturne della città, fra incontri, un libro (Big City Nights) e una ragazza, Beatrice, un autobus che infine non potrà prendere («No Radios» prima ancora di «No Smoking» e «No Spitting») e lo separerà da lei.
In Burnin’, girato da Seb Janiak, in Revolution 909 di Roman Coppola e in Fresh, diretto dagli stessi musicisti, i Daft Punk persistono nell’assenza sensibile, laterale al perimetro visivo, e le connessioni tra musica e immagini sono deviazioni, gioco e interstizi, rappresentazione altra, terreno di sospensioni e di incastri allentati, mancati, rinviati. Scorrono così il bambino/adulto fireman in Burnin’, la ragazza, il poliziotto e il pomodoro in Revolution 909, e Charles, ancora, la bizzarra creatura che torna in Fresh come attore su una spiaggia fatta set cinematografico, per poi allontanarsi in auto con Beatrice, di nuovo lei, una volta terminata la scena.
Il 2001 è l’anno di Discovery, il loro secondo, attesissimo, album full-length. Nel frattempo, qualcosa è cambiato: il 9 settembre 1999, giurano i diretti interessati, a seguito dello scoppio di un campionatore nello studio di registrazione, i Daft Punk sono diventati, anzi ‘rinati’, robot. Robot anche nelle esecuzioni live, negli eventi pubblici e mediatici, negli spot (quello nerd e ironico dell’Adidas ambientato nella Cantina di Mos Eisley di Star Wars, 2010, con i due accanto a Snoop Dogg, Noel Gallagher, David Beckham…) e nel videogioco DJ Hero.
Robot impegnati, per esempio, in un cameo, cartoon come tutti gli altri personaggi, senza voce, nel film di animazione Interstella 5555. The 5tory of the 5ecret 5tar 5ystem diretto da Kazuhisa Takenouchi, con la supervisione di un maestro come Leiji Matsumoto e tutti i brani di Discovery come colonna sonora, anzi come fluire che diventa forma, visione: l’avventura di una band aliena (tre maschi e una donna) i cui componenti vengono rapiti e condotti sulla terra da un umano senza scrupoli, per spolpare il loro talento e arricchirsi ancora di più. Estetica e figure che provengono da Capitan Harlock – la malinconia abita, ancora, qui.
Un altro cameo, come dj in un locale, prima dell’esplosione (un’altra!) in Tron: Legacy (2010) di Joseph Kosinski, film futuristico affine al loro mondo, di cui curano le musiche.
Robot, eccoli finalmente nei loro video, dal terzo lavoro in studio, Human After All (2005), in Robot Rock, musicisti fracassoni, chitarra a doppio manico e batteria, in cornice e luci scintillanti, violente, coatte da Eighties, o nell’inquietante Technologic, registi di se stessi in entrambi. Torneranno ancora, ancora robot, nel loro ultimo album, il quarto in studio, Random Access Memories (2013).
Eppure una volta, in passato, ci hanno anche provato quei due a diventare essere umani, però…
A cura di Leonardo Gregorio