REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI BARI
N° 31 DEL 11/08/2009
DIRETTORE RESPONSABILE MICHELE CASELLA
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SPIKE JONZE TRADUCE IN IMMAGINI GLI ARCADE FIRE
Nell’estate del 2011 appare, gratuitamente in streaming su MUBI, Scenes From The Suburbs, esordio di una felicissima collaborazione artistica tra gli Arcade Fire e Spike Jonze. Un mediometraggio di 30 minuti modellato sul concept album The Suburbs; un copione scritto da Win e Will Butler assieme a Jonze che ha portato band e regista in giro per Austin, Texas, reclutando come attori degli adolescenti non professionisti; l’esito: un racconto distopico in un ambiente suburbano paranoico e violento, in cui la crisi adolescenziale sembra rivestire un punto di vista di sconcertante privilegio.
Le atmosfere orwelliane ci ricordano il clima di angusta paranoia legata a quel geniale piano ammezzato nato dalla penna di Kaufman in Essere John Malkovich diretto dallo stesso Jonze, mentre i lenti indugi sui protagonisti, con carrelli e panoramiche attente ai particolari di visi e sguardi, richiamano l’estetica di Gus Van Sant che tanta importanza ha avuto, e continua ad avere, nel racconto dell’adolescenza americana.
L’album The Suburbs – interamente concepito sul tema della periferia come luogo di sospensione della memoria e carcere a cielo aperto da cui è impossibile fuggire – viene riletto dalla macchina da presa di Spike Jonze abbandonando la frammentarietà del commento video alla traccia musicale e giungendo a un racconto quanto più cinematografico possibile. Nulla a che vedere con un semplice e descrittivo videoclip: ci troviamo davanti a un’operazione visiva parallela a quella musicale: «un altro punto di vista dello stesso posto», come l’ha definita Will Butler.
La dichiarazione di uno dei personaggi di voler ricordare tutto ciò che è accaduto durante un’estate viene subito contraddetta dall’impossibilità di catturare determinati momenti rispetto ad altri; con l’incapacità narrativa si apre il racconto vissuto da un gruppo di adolescenti nel bel mezzo dell’urban sprawl che annienta l’identità del territorio cittadino e dei suoi abitanti. Lo sguardo di Kyle, tra i protagonisti del film, si concentra su un momento di cesura della sua adolescenza, l’estate in cui Winter si tagliò i capelli, un’estate di cambiamento che ci permette di osservare la vita adolescenziale nei sobborghi del cuore degli Stati Uniti. Il racconto musicale di queste grigie atmosfere urbane si avvale dell’occhio esterno degli Arcade Fire, che dal limitrofo Canada indagano la realtà americana da una prospettiva critica. Il mezzo è spesso il pedinamento dei protagonisti in lente carrellate o movimenti con camera a mano scanditi dal rallenty e dal montaggio alternato che rende alla perfezione l’idea di una memoria frammentata anche grazie all’uso di frame neri a indicare vuoti narrativi incolmabili – impossibile non pensare ai corridoi della Columbine High School in Elephant o all’elaborazione, tramite il ricordo, del trauma vissuto da Alex in Paranoid Park.
Una realtà raccontata esternamente da un occhio partecipe ed emotivo, nostalgico e recettivo rispetto al vissuto dei personaggi che si muovono nel profilmico.
Spike Jonze attraversa il disagio giovanile in una atmosfera estranea ai protagonisti, un incubo pervasivo che si agita tra le strade della città e si manifesta tramite l’imperante presenza delle forze armate, a viso coperto, in una realtà che ha tutto l’aspetto di una città in guerriglia. Gli elicotteri che sovrastano le case monofamiliari con giardino e i prefabbricati sono spie del controllo militare a cui è sottoposto il territorio urbano; gli unici aerei che sfrecciano nel cielo sembrano vie di fughe impossibili che lo spettatore osserva inerme e pensoso in soggettiva.
L’amicizia, il contrasto generazionale con i genitori e le lunghe passeggiate in bici abitano la plumbea periferia americana resa come il territorio di una deformazione onirica in cui, come viene dichiarato da Winter, i ragazzi sono solo dei personaggi, reali fino a quando il sogno è in atto, ma dall’esistenza precaria e legata a un prossimo risveglio. Quel risveglio violento che esploderà con l’attacco d’ira finale, carico di tutta la frustrazione maturata in questa realtà di controllo, violenza fisica e psicologica reiterata.
Una guerra di periferia persa in partenza e rappresentata realisticamente all’interno di un incubo in cui tutto ciò che rende la gioventù invincibile, l’amore o l’amicizia, viene annientato grazie alla decadenza del paesaggio disumano che pervade le strade di periferia. Una città sotto scacco delle milizie senza che se ne chieda il perché, in costante clima da coprifuoco e terrore, mette in evidenza una guerra non quantificabile in cadaveri ma ben esplicitata dall’alto tasso di disillusione giovanile.
Scene dalla periferia umana e urbana di una nazione in crisi, disfatta dall’uso delle armi, dalla legalizzazione del terrore e dalla vita costruita nel bel mezzo di un’urbanizzazione che vìola, in primis, lo stato di salute fisica e mentale che dovrebbe essere diritto inviolabile del cittadino.
Le lunghe panoramiche e i lenti carrelli con stacchi in soggettiva raccontano, indugiando sui sentimenti di disagio dei protagonisti immortalati in sospensione, una realtà disumana, una società che rifiuta gli adolescenti per pigrizia e disinteresse.
Scene From the Suburbs è prima di tutto uno sguardo, dritto negli occhi di questa disfatta, riportato alla narrazione musicale degli Arcade Fire. Un prodotto che merita attenzione per la qualità visiva e l’uso delle tracce sonore in funzione interna, diegetica, con intenzioni assolutamente cinematografiche. Lo straniamento ci avvolge, e qualcosa di più chiaro si scorge nelle parole di Will Butler in Suburban War: «This time’s so strange. / They built it to change».
A cura di Marilù Ursi