REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI BARI
N° 31 DEL 11/08/2009
DIRETTORE RESPONSABILE MICHELE CASELLA
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UN VIAGGIO NELLA SCENA MUSICALE CHE HA LANCIATO (E ISPIRATO) LA BAND DI MONTREAL
Nei primi giorni del 2014 l’edizione americana di «Rolling Stone» titolava: Can Arcade Fire be the world's biggest band? Erano passati poco più di due mesi dalla pubblicazione del loro quarto album, ma nel mondo della musica alternativa Reflektor era già diventato l’hype del momento, un disco di cui tutti i media di settore, i curatori dei festival e gli appassionati stavano parlando. Perché questo doppio album rappresenta un momento di svolta per la band di Win Butler, ma allo stesso tempo la naturale prosecuzione di un percorso di maturazione che coinvolge l’intera scena musicale canadese.
Il primo, decisivo cambiamento per gli Arcade Fire è stata la scelta di mettere al banco di produzione James Murphy, assistito da Markus Dravs, che già da anni era al fianco della formazione indie rock. L’ex leader degli LCD Soundsystem sposta in maniera significativa il loro baricentro sonoro, puntando su ritmiche ben più ballabili che vanno a integrarsi con la potenza espressiva delle composizioni. Il risultato è ben chiaro fin dall’opening track, dove le percussioni sembrano rubate da una produzione DFA o (andando parecchio indietro nel tempo) della mitica ZE Records. Ma è tutto l’album ad avere un’impostazione decisamente differente rispetto al passato, quasi a rappresentare un riuscito tentativo di equilibrare l’istinto alternativo degli Arcade Fire con il potenziale radiofonico dei brani.
Questa commistione trova dunque in Reflektor un perfetto compendio fra musica e marketing, per una scena come quella canadese che in tutti gli anni 2000 ha brillato di fulgida luce propria. Punto di partenza sono le etichette discografiche indipendenti, la cui alta media qualitativa ha trovato formidabili esempi di sintesi sia nel campo della ricerca elettronica che dell’indie rock. La Alien8 Recordings, ad esempio, vede nel suo roster i rumorismi di Merzbow come le improvvisazioni per chitarra elettrica di Loren Mazzacane Connors, gli estremismi elettronici di Tim Hecker e le evoluzioni funamboliche al limite fra elettrico e acustico di Keiji Haino. E se la label presenta dei prodotti discografici più vicini a un ascolto indie come Lesbians on Ecstasy e The Unicorns (due progetti peraltro interessantissimi del panorama alternativo), è con le pubblicazioni di Set Fire to Flames, Hrsta, Acid Mothers Temple e Shalabi Effect che la Alien8 crea un ponte rispetto all’altra label di riferimento per la sperimentazione rock canadese: la Constellation di Montreal. Aperta nel 1997, questa etichetta è diventata il fulcro della musica anti-corporativa, anti-capitalista e anti-globalista, raccogliendo le produzioni di alcune delle band più significative degli ultimi vent'anni. Primi fra tutti i Godspeed You! Black Emperor, dalla cui matrice hanno poi trovato la giusta visibilità anche i progetti Silver Mt. Zion, Do Make Say Think, Polmo Polpo e tanti altri. Impossibile però non citare le ultime opere di Vic Chesnutt prima del suicidio, alcuni dei lavori migliori della discografia dei Tindersticks e le illuminazioni fra cantautorato e jazz di Frankie Sparo, Elizabeth Anka Vajagic e Land Of Kush.
Della favorevole influenza di queste band si nutre anche il progetto degli Arcade Fire, che non solo ne condivide l’approccio art-rock ma ne metabolizza il particolare suono di chitarra, a metà strada fra passionalità, stridori, dilatazioni e clamori. Ancor più diretti sono gli accostamenti con i cataloghi di altre due label, la Paper Bag Records e la Arts & Crafts Productions. I primi mettono a segno alcune ottime scelte grazie al dream-pop di Young Galaxy, le melodie di You Say Party! We Say Die! e il digital dei PS I Love You, ma è con gli Stars che riescono a esportare i loro dischi anche all’estero. Il quintetto di Toronto esplode infatti con l’eccellente Set Yourself on Fire, un disco abbastanza vicino alle sonorità degli Arcade Fire e che si avvale di un bell’affiatamento fra Amy Millan e Torquil Campbell. Ancor più importante il lavoro svolto dalla Arts & Crafts, base della band con maggiori affinità sonore rispetto agli Arcade Fire: i Broken Social Scene. Capitanato da Kevin Drew, l’ensemble ha saputo costruire album che – al pari della discografia di Butler & Co. – intreccia cavalcate art-rock, perle squisitamente pop, digressioni post-rock, derive noise e cantato decisamente indie. Il loro capolavoro del 2003 You Forgot It In People resta pietra miliare del recente passato della musica canadese, ma anche Feel Good Lost e l’omonimo del 2005 rappresentano alcune fra le più interessanti pubblicazioni del triangolo Vancouver-Toronto- Montreal.
Sebbene nessuna di queste band abbia raggiunto la notorietà né il successo commerciale degli Arcade Fire, sono molti i tratti che legano queste formazioni e che le hanno rese fondamentali per l’intera scena canadese. Impossibile allora dimenticare i New Pornographers, intestatari di un pop dalle venature nineties e dal tipico innesto voce-chitarra-batteria, ma soprattutto considerati dalla stampa specializzata il secondo gruppo canadese più rilevante del nuovo millennio. Più concitati e 'americanizzati' risultano i Wolf Parade, esplosi grazie alla bella prova del 2005 Apologies to the Queen Mary e poi retrocessi a un indie più convenzionale e talvolta privo di quei primi, irresistibili refrain. Scanzonati e giocattolosi, gli Unicorns si discostano invece dagli arrangiamenti perfettamente orchestrati degli Arcade Fire così come dalla loro produzione folgorante, per dar vita a un suono volutamente claudicante, sberciato e un po’ fiabesco. Discorso simile per Owen Pallett e i suoi Final Fantasy, negli anni passati decisamente pop e ora concentrati su una versione musicale molto più minimal, che unisce una chitarra pizzicata, il suono di violino e una voce impostata sulla modalità songwriter.
L’elettronica, dicevamo, entra in maniera più decisa nella discografia degli Arcade Fire con Reflektor, ma l’indie canadese ha già proposto delle eccellenti uscite sul fronte digitale. Primo fra tutti va segnalato Caribou, abbastanza distante dall’estetica degli Arcade Fire, ma straordinario miscelatore pop, shoegaze, house e rock. Con le sue prime produzioni (pubblicate con il moniker di Manitoba) il giovane producer crea un ponte immaginario fra Nordamerica e UK, esplorando le sovrapposizioni fra saturazione, melodia e beat. Con Swim, però, la sua conversione alla dancefloor è completa e può addirittura entrare in concorrenza con le tracce dei Crystal Castles. Questo duo di Toronto, infatti, rappresenta la risposta al punk digitale che ha sfondato negli Stati Uniti e invaso l’Inghilterra, tanto contaminato dalla chiptune quanto esasperato nella parte vocale e nelle epilessie ritmiche.
La mappa sonora canadese delinea dunque un profilo estremamente interessante sia in termini di originalità che di esportabilità, coerente nella costruzione di un’identità certo sfaccettata, ma decisamente riconoscibile. L’intelligente progettualità delle label locali, unita alla capacità di esportare un prodotto musicale bello e internazionale ha portato a una lenta e costante crescita dell’intera scena alternativa. Una scena che nel 2014 è arrivata ai clamori dei media globali grazie a un disco e a una band decisamente unici. Perché Reflektor degli Arcade Fire è allo stesso tempo un’opera barocca e contemporanea, da ballare nei club e da cantare ai concerti dal vivo, interattiva nella sua declinazione web ma dai rimandi classici nell’uso degli strumenti musicali. Il disco che nel 2014 è effettivamente diventato the world's biggest one.
A cura di Michele Casella