REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI BARI
N° 31 DEL 11/08/2009
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ARTE E SPERIMENTAZIONE NEI VIDEOCLIP DI BJORK
Il corpo non è altro che materia, bisogna saperla usare nel modo più efficace ed essere in grado di plasmarla a seconda delle esigenze; l’uso che Björk fa della propria immagine dimostra chiaramente quanto questa versatilità possa amplificare, a livello concettuale e di marketing, una potenza vocale già di per sé efficacissima.
In prima persona protagonista dei suoi videoclip, affascinante o irritante, a seconda dei gusti, spogliandosi e rivestendosi dei panni più diversi Björk si lascia circondare da differenti atmosfere, frutto delle collaborazioni con registi di culto nel panorama del videoclip musicale e, come un camaleonte, assorbe le influenze e gli scambi con artisti visivi contemporanei incontrati nel corso della sua vita artistica e personale. Un ponte tra avanguardia e cultura pop, l’artista islandese si manifesta in questa sua accezione ibrida e congiuntiva non solo nella musica ma anche nell’aspetto visivo. Il legame con il minimalismo e l’arte concettuale degli anni Sessanta è tutt’altro che celato dalla cantante, la quale ha più volte dichiarato di guardare a Stockhausen e a Cage come modelli importantissimi sin dagli esordi di giovane musicista nell’Islanda degli anni Ottanta.
Il corpo mostrato e usato per comunicare, nella sua trasformazione e nella sua, a volte scioccante, esibizione, un’arte che esplora concetti essenziali della società, mostra un approccio debitore verso i movimenti avanguardisti degli anni Sessanta: da Fluxus, passando per l’arte concettuale tout court, attraversando elaborazioni più recenti come la Land Art fino alle contemporanee sperimentazioni di Mattew Barney, non a caso compagno della cantante nella vita privata e professionale degli ultimi anni.
Mutazione e trasformazione sono elementi esplicativi del corpo, invisibili fili che legano Hunter, con la sua inquietante metamorfosi in orso polare, alla distorsione dell’essere umano in All Is Full of Love, girato da Chris Cunningham, in cui due robot appaiono nel momento dell’approccio sessuale: ciò che di più disumano si possa concepire nell’atto più umano possibile. L’aspetto erotico, sempre perfettamente inserito in un quadro di compenetrazione panica tra l’uomo e la natura, caratterizza una parte grandissima dei videoclip di Björk, e la sensualità è spesso elemento scatenante. Dalla relazione con l’ambiente ‘selvatico’ di aggressione e attrazione come in Alarm Call, in cui regnano sovrani elementi freudiani come serpenti e coccodrilli che sfiorano e percorrono il corpo della cantante, al più intimista It’s In Our Hands, girato da uno dei registi che ha maggiormente collaborato con la cantante islandese: Spike Jonze.
La relazione con la natura in quanto creazione organica porta a uno dei videoclip più interessanti da un punto di vista di sperimentazione visiva, ovvero Nature Is Ancient, dove viene mostrata la formazione di un feto che non a caso nei suoi connotati richiama quelli della cantante.
Il corpo è centrale, non si tratta di uno qualsiasi, ma di Björk in prima persona: è quasi impossibile vedere degli attori nei suoi videoclip, e addirittura quando le immagini sono digitalizzate e rimaneggiate in funzione di un aspetto non umano, i connotati dei robot o del feto, come nei video citati, rimangono sempre e comunque quelli della cantante.
Eppure il corpo di Björk non è solo esibito e modificato, ma anche disciolto, sgretolato, liquefatto, reso in una consistenza metamorfica e sinuosa, pullulante di energie che da invisibili vengono rese evidenti, spesso proprio grazie alla digitalizzazione del corpo stesso. Si tratta di un organismo dal quale scaturiscono energie e legami con l’esterno come accade in Unravel; estensioni del corpo che attraversano lo spazio, possono creare un baco, un involucro al corpo (Coocoon), oppure perforare la pelle con i piercing di Pagan Poetry, senza dimenticare il lungo piano-sequenza di Hidden Place, che indaga sui particolari del viso dell’artista inserendo, tramite l’innesto di elementi digitali, materiali simil-organici che attraversano bocca, naso e occhi.
La versatilità del corpo e la sua metamorfizzazione, anche da un punto di vista sessuale, non sono certo una novità per quel che concerne l’aspetto visivo di un artista musicale (su tutti basti pensare alla carriera di David Bowie), ma in Björk il tutto si unisce a una considerazione panica della corporeità che penetra nell’universo per definire una unione insanabile tra corpo e natura.
Le origini islandesi della cantante in questo giocano un ruolo di certo primario, e il videoclip che rappresenta perfettamente questa idea è forse uno dei più grandi successi di Björk, Jóga, primo singolo tratto da Homogenic, diretto da Michel Gondry in cui, grazie a un importante uso del digitale, i paesaggi islandesi si aprono mostrando la maestosità e la dirompenza della natura (si pensi allo stesso tema con un’accezione legata al mondo marino presente nel videoclip di Oceania), una natura che è anche interna all’artista, racchiusa infatti nel suo petto.
Se il corpo rimane il fulcro nella poetica visiva di Björk, esso si adatta e modifica a seconda delle visioni che i vari registi le danno; la cantante si lascia influenzare spaziando tra gli immaginari più diversi: dal musical in It’s Oh So Quiet diretto da Spike Jonze, alle atmosfere orientali sotto la guida di Eiko Ishioka, passando per la science fiction del già citato All Is Full of Love.
Un corpo pronto ad abbandonare se stesso per una natura nuova sembra, continuamente, riprendere le parole di Moon: «To risk all is the end all and the beginning all».
Tramite le estreme ricerche, dove la natura incontra l’elaborazione cibernetica, Björk riesce a reincarnare un’idea del corpo allo stesso tempo virtuale e organica.
A cura di Marilù Ursi