REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI BARI
N° 31 DEL 11/08/2009
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BJORK AL CINEMA CON VON TRIER E BARNEY
Dentro le implosioni e le lacerazioni del cinema (ossia del mondo chiuso) di Lars von Trier; poi fra le zone liminali, le aperture e le confluenze, le visioni che si fondono nell’arte di Matthew Barney.
Björk è attrice prima per il regista danese – in Dancer in the dark, film premiato al Festival di Cannes, nel 2000, con la Palma d’oro (e premiata sarà la sua interpretazione) –, poi per il compagno Matthew Barney, statunitense, affermatosi a partire dagli anni Novanta come artista fra i più innovativi, straordinario sperimentatore di linguaggi (è autore del ciclo multicodice Cremaster). Barney la dirige in un’opera complessa e stratificata, che sposta e ricolloca continuamente i sensi, le coordinate della percezione, del contatto: Drawing Restraint 9, presente nelle sezione ‘Orizzonti’ alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2005.
Per questi film la cantante islandese firma le colonne sonore, con gli album SelmaSongs e Drawing Restraint 9, fra loro diversissimi, come i due registi e le loro opere, le loro immagini, e come lei che muta, diventa altro con i suoi personaggi (entrambi estremi, impossibili).
Come riporta uno dei principali studiosi di Björk, Ian Gittins, del personaggio in Dancer in the dark (e di se stessa) la musicista dice: «Al pari di Selma, anch’io avverto un forte bisogno di evadere e mi sento calma e sicura solo quando canto e creo musica. L’unica differenza tra me e lei è che Selma è molto più ingenua, perché crede seriamente che la vita possa essere un lungo, interminabile musical mentre io non la penso più così da molto tempo». Siamo negli anni Sessanta, Selma si è trasferita dalla Cecoslovacchia ai lontani Stati Uniti, lavora in fabbrica e anche fuori per arrotondare, vive in una roulotte con suo figlio, frequenta le prove per un musical, nella parte di Maria, la protagonista di Tutti insieme appassionatamente. Ma Selma sta per perdere definitivamente la vista e tutti i suoi risparmi le servono per evitare la stessa sorte a suo figlio. Camera a mano e melodramma doloroso, disperato. Così von Trier descrive la sua protagonista, ne Il manifesto di Selma: «È più di una sognatrice! Ama ogni espressione della vita. È capace di apprezzare il più piccolo miracolo della sua esistenza così misera. E sa vedere tutti i dettagli […]. Il suo amore e la sua emozione davanti al mondo artificiale della musica, la sua fascinazione di fronte alla vita vera… la sua umanità, la propria opera artistica… sono i piccoli gioielli del musical in cui si ritrae quando non si sente bene; i frammenti del musical di Selma… che non assomiglia a nessun altro musical».
Anche prima di morire giustiziata, impiccata, per un omicidio che è stata costretta a compiere (anche lei in balìa degli accadimenti come gli altri protagonisti della vontrieriana ‘Trilogia del cuore d’oro’, che ha Le onde del destino al principio e Idioti nel mezzo), canta, ora per davvero e non più solo nella sua fantasia, qualche istante prima della fine. Björk è meravigliosa, superiore anche al film, ma lavorazione e rapporti col regista sono stati assai duri.
Annuncia di voler chiudere con il cinema, tuttavia nel 2005 la ritroviamo in un’opera completamente differente, che nega la narrazione pura e si fa creazione continua, gesto visionario e imprendibile, ricerca e territorio di limiti, identità, spazi, sospensioni temporali: Drawin Restraint 9. Corpi, carne, acqua. Vita e morte. E, ancora, riemersione e rinascita. Un’opera che, nell’apparente distanza da chi la guarda, annulla ogni possibile cristallizzazione critica. Un’opera in movimento, come un’allucinazione, un reale penetrato, rivissuto, rifondato, visto per la prima volta, tra profondità e superficie, fra erotismo e tensione figurativa, musica e assenze, composizioni di forme e suoni, scorrimenti, allagamenti. E sangue e liquidi, pochissimi dialoghi. In movimento, verso l’altro, come un ciclo, una mutazione. In movimento, come la baleniera nipponica di Drawin Restraint 9 diretta verso l’Antartico, anche un’enorme scultura di vaselina che si scioglie, deborda, e un uomo e una donna, occidentali (Björk e Barney), in unione scintoista, che si abbracciano in una sensuale, plastica coreografia di corpi, si baciano, si leccano, si amano, fino a tagliarsi, a strapparsi le carni, le gambe, all’interno di un’«asserzione», rileva la critica d’arte Angela Vettese, «di come l’amore assoluto porti a uccidersi, annullandosi l’uno nell’altro, nel sanguinoso rito di un omicidio reciproco».
Il ciclo (cinque film) di Cremaster (1994-2002) è terminato; un altro, invece, continua. Scrive Matthew Barney nelle note di regia: «Drawing Restraint 9 rappresenta la nona parte di un ciclo di lavori avviato nel 1987 […]. Il progetto Drawing Restraint può essere descritto come una sorta di fecondazione trasversale tra il desiderio di creare e la fatica di continuare a creare: un tentativo di rafforzare l’energia creativa senza permettere alla propria pratica di assumere una forma concreta».
Alla fine, in questo nono capitolo, dall’acqua, dalla bocca fuoriescono perle; Björk e l’amore sono un altro corpo. «Fecondazione trasversale tra il desiderio di creare e la fatica di continuare a creare». Anche qui, Björk è un desiderio, un’invenzione, una magnifica ossessione.
A cura di Leonardo Gregorio