REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI BARI
N° 31 DEL 11/08/2009
DIRETTORE RESPONSABILE MICHELE CASELLA
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DALL'AVANGUARDIA AL POP, LA MUSICA DI BJORK ATTRAVERSO LE SUE COLLABORAZIONI
Parcellizzato in milioni di categorie, classi e target di consumo, l’ascoltatore contemporaneo è letteralmente aggredito da un flusso musicale inarrestabile, che esonda in qualunque spazio quotidiano e si gonfia di suggestioni mai così libere e audaci. Una vera esplosione sonora, capace di superare i limiti dello spazio (annientando le distanze fra le culture musicali del globo, unendo oriente e occidente, ritmi e melodie, modelli e standard) e del tempo (per un’attualizzazione del passato, talvolta in un’omologazione del presente, sovrapponendo cultura alta e bassa, travolgendo le certezze e spezzando gli equilibri di genere).
È il postmodernismo, baby. E ancora oltre.
Eppure, perfino oggi, ci vuole un particolare segno artistico per diventare eroi della contemporaneità e icone della cross-medialità. Ci vuole un mix fuori dall’ordinario per insinuarsi in quel formidabile interstizio che congiunge mainstream e ricerca, ascoltatori avventurosi e schiavi della top 40, maniaci del collezionismo e consumatori inebetiti, youtuber e melomani. Björk – assieme a pochissimi altri artisti dell’ultimo ventennio sonoro – è a tutti gli effetti una delle superstar del firmamento mondiale, capace di mettere d’accordo un pubblico estremamente eterogeneo e di superare il valore delle singole tracce da lei composte. Perché Björk, in oltre 20 anni dalla pubblicazione dal suo primo album solista, ha saputo introiettare le sperimentazioni del contemporaneo e rimodularle al servizio del pop, congiungendo la ricerca sonora (prevalentemente) europea e statunitense per riconsegnarla alle orecchie del grande pubblico. Un’operazione fondamentale e deflagrante che, di fatto, ha modificato le abitudini di ascolto di un’intera generazione e che ha intrecciato ascolti (voce, strumenti, album, remix), visioni (video, film, installazioni) e ambi(en)ti di applicazione (tecnologia, scienza, narrazioni).
Perché Björk, prima che una grande artista, è un’intelligente producer ed una straordinaria spettatrice del contemporaneo, capace di intercettare il meglio dell’avanguardia e di metabolizzarlo con stupefacente sensibilità. Così, se Debut del 1993 è il suo album più diretto e forse personale, epifania di una musicista unica all’interno di un panorama internazionale già ricco ed esaltante, il seguente Post vede l’imprescindibile apporto di due figure fondamentali della prima metà dei ’90: Tricky e Howie B. Grazie a queste collaborazioni il secondo disco dell’islandese si colora dell’oscurità del trip-hop e della fluorescenza acid, ovvero i generi più influenti di quegli anni in Gran Bretagna. Post incrocia infatti una vocalità ancora molto pop e sensuale con tappeti ritmici ben noti nei club londinesi, che passano dalla battuta lenta di Possibly Maybe alla tensione notturna di Army of Me. E se la cover di It's Oh So Quiet (in origine di Betty Hutton) resta un’indimenticata hit radiofonica, è la straordinaria progressione di Hyper-Ballad a connettere la poetica sognante di Björk con l’esuberanza eccitante del big beat, il genere che di lì a pochi anni avrebbe conquistato le dancefloor di mezzo mondo.
L’ex cantante degli Sugarcubes, infatti, diventa in questi anni icona artistica non tanto per la capacità di anticipare le tendenze, quanto per l’incredibile attitudine a intrecciare il suo stile con le espressioni sonore più esaltanti del proprio tempo. In questo senso Homogenic, uscito nel settembre del 1997, è opera fondamentale per la pop culture del recente passato, letteralmente capace di ribaltare un approccio d’ascolto conservatore in favore della creatività e della pura contaminazione. In Homogenic confluiscono l’elettronica minimale ed il bolero di Ravel, le dilatazioni più oniriche ed il pathos melodico, l’elegia degli archi e lo stridore del digitale, per un album che inaugura anche l’essenziale collaborazione con il produttore Mark Bell. Ma Homogenic è opera fondamentale per la più significativa apertura di Björk verso il digitale. Questo non solo perché Bell proviene dalla scena della Warp Records (al cui interno gravitano personaggi del calibro di Aphex Twin, Autechre, Plaid e molti altri) ma soprattutto per altri due nomi che si affermano al fianco della giovane islandese: Alec Empire e Chris Cunningham. Il primo, tedesco, è fondatore degli Atari Teenage Riot, band di punta della scena digital hardcore anni ’90 e vero ispiratore della più violenta e dissacrante aggressione cacofonica che l’Europa abbia potuto ammirare. Con brutalità spaventosa e chirurgica Alec Empire remixa e stupra i brani più noti di Homogenic, una vera estasi di destrutturazione di fondamentale importanza per la progressione artistica della fanciullina nordica. Chris Cunningham firma invece il video di All Is Full of Love, un momento storico del videoclip mondiale per una delle più straordinarie apologie sull’amore al tempo dell’intelligenza artificiale.
Se fino a Homogenic il lavoro di Björk ha sempre avuto un’impronta prettamente europea, con Vespertine del 2001 si apre una fondamentale svolta americana, tutta racchiusa in due incontri imprescindibili: coi Matmos e con Zeena Parkins. Iconoclasti, costantemente al di sopra delle righe, legati all’attivismo gay e veri rappresentanti della digital-art, i Matmos portano nella musica di Björk la follia e la ricerca dell’allora attivissima scena elettronica di San Francisco. Il duo le apre le porte della disfunzione, dell’errore consapevole, del glitch, costringendola a rielaborare le modalità di interazione fra acustico e digitale. Quel che ne vien fuori è Vespertine, un capolavoro indimenticabile in cui i delicatissimi tappeti di tiny-sound arrivano finalmente al grande pubblico dopo anni di circolazione nei soli ambienti dell’avanguardia e della ricerca. È dunque con questo album che Björk raggiunge il suo massimo risultato, ricongiungendo la musica ‘alta’ della ricerca elettronica al pop più ispirato, combinando la grazia dei cori eschimesi a carillon e percussioni digitali, riunendo le atmosfere notturne dei temi per film alle obliquità di una produzione anni 2000. E poi ci sono gli archi, fondamentali soprattutto nelle performance dal vivo e guidati dall’arpa di Zeena Parkins. È grazie a quest’ultima se tanta altra sperimentazione entra nella musica dell’artista europea, perché attorno alla Parker si ricompone un mondo di esperienze legato a nomi come Ikue Mori, John Zorn (e la sua imprescindibile etichetta Tzadik) Anthony Braxton, Jim O'Rourke, Lee Ranaldo e tanti altri. In tre parole: New York e Chicago.
Superato il bellissimo tour di Vespertine e l’incredibile varietà di sollecitazioni di questo particolare periodo artistico, Björk torna al suo strumento primario, la voce, e lo fa con un album tanto intimo quanto spiazzante: Medùlla. Anche in questo caso le collaborazioni restano di altissimo calibro, in particolare con l’imprevedibile Mike Patton ed il vate del progressive Robert Wyatt, mentre l’apporto di Mark Bell è in primis strumentale ad un ritorno alle forme primarie e ad un canto polifonico mai così suggestivo. Un disco praticamente privo di hit se si eccettua la vivacissima Who Is It, ed è proprio da qui che parte il viaggio di Volta attraverso ritmi e percussioni. Anche in questo caso è il tavolo di produzione a correggere la rotta, presentando il rapper e producer Timbaland a indirizzarci attraverso sovrapposizioni di violenti beat e fiati magniloquenti, ritmiche sincopate e percussioni quasi liquide. Fondamentale inoltre il featuring di Antony Hegarty nella ieratica The Dull Flame of Desire, brano capace di comunicare una passione quasi sacrale grazie allo straordinario vocalist di I Am a Bird Now, il disco che meno di due anni prima l’aveva posizionato fra i più importanti interpreti del nuovo millennio.
Last but not least, Björk sposta nuovamente il baricentro delle sue produzioni e sceglie di incrociare la sua attrazione per le scienze naturali alle evoluzioni tecnologiche, il tutto solidamente avvinto ad un universo sonoro in perenne espansione. Nell’ottobre del 2011 nasce dunque Biophilia, il progetto multimediale in cui la musicista incontra Scott Snibbe, artista newyorchese che ha dedicato la sua attività ai media interattivi e all’uso che i nuovi device possono avere nella fruizione e nella composizione musicale. Biophilia diventa il primo app album della storia, uno strumento di pura interazione fra le creazioni di Björk e la fantasia dell’ascoltatore. È quest’ultimo, infatti, il nuovo protagonista delle composizioni, che deve letteralmente esplorare attraverso viaggi fra le costellazioni, paesaggi costituiti di cellule e virus, fasi lunari che diventano singoli suoni di un unico brano. Le tracce del disco vengono dunque completamente destrutturate e ricomposte dal fruitore, che diventa il principale featuring di questo concept album e che è anche chiamato a cimentarsi con un sistema di musica generativa. In questo modo un disco sempre più fuori dal tempo – frutto di incastri fra fonti sonore distantissime, continue accelerazioni e rallentamenti, suoni di sintesi e strumenti tradizionali – si pone al centro di questi anni ’10. Un progetto, dunque, in continuità con l’azione di sdoganamento pop della musica contemporanea, anzi di più: un tentativo di rendere attivo il collegamento fra ascoltatore e artista, permettendogli di interagire – attraverso il gioco e le differenti interfacce – con le strutture ed i suoni che hanno reso unica e riconoscibile l’opera di Björk. Un’opera pop, ma allo stesso tempo di continua scoperta. Una musica dal piglio radiofonico, ma avventurosa nella sua costante ricerca innovativa. Un’opera unica, che è già un classico fuori dal tempo.
A cura di Michele Casella