REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI BARI
N° 31 DEL 11/08/2009
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AGAETIS BYRJUN, 15 ANNI DA UN BUON INIZIO
I tipi di Smekkleysa/Bad Taste avevano visto giusto già nel 1997, pubblicando in Islanda Von ('Speranza'), album d’esordio di quella che la critica specializzata internazionale, qualche anno dopo, consacrerà come «l’ultima grande band del XX secolo». Quell’album, infatti, poi uscito in versione remix con il titolo Von brigði (Recycle bin), sarà seguito dalla pubblicazione, il 12 giugno 1999, del capolavoro dei Sigur Rós: Ágætis byrjun ('Un buon inizio'). La formazione in trio di Von è, nel frattempo, diventata un quartetto con l’ingresso del tastierista e polistrumentista Kjartan Sveinsson (nella band fino al 2013), unitosi al cantante e chitarrista Jónsi Birgisson, al bassista Georg Hólm e al batterista Ágúst Ævar Gunnarsson, che, subito dopo le registrazioni dell’album, per dedicarsi alla carriera di grafico, lascerà il posto ad Orri Páll Dýrason.
Registrazioni iniziate nell’agosto 1998 e frettolose, per un’uscita dell’album prevista l’ottobre dello stesso anno, non portano a risultati soddisfacenti per la band, decisa a che il disco sia «so much better» del precedente. Si dovrà, così, attendere quasi un anno, affinché il lavoro sia finito e convinca la band a definirlo «abbastanza buono»…
Il successo in terra natia è travolgente (superando i record di vendita della più nota collega Björk), ma saranno le uscite per Fat Cat Records e Pias Recordings, nel 2000 nel Regno Unito e nel 2001 in Nord America, che porteranno i Sigur Rós a notorietà e indiscusso successo internazionale.
Un amico, Gotti Bernhoft, al quale viene data una registrazione non definitiva dell’album, dipinge su grandi pannelli quello che sarà l’artwork: un feto alieno. La band lo trova di una bellezza sconvolgente e lo adotterà per un bel po’ di tempo anche come simbolo, organizzando una mostra dei dipinti originali in un negozio di dischi di Reykjavik. Peraltro, il soggetto dell’artwork sposa perfettamente l’idea del concept album di un nuovo inizio (ancora amici, all’ascolto delle prime registrazioni, avevano commentato con «un buon inizio…», da cui la decisione della title track), speranza, umanità ancestrale e al contempo fantascientifica.
Dieci lunghe tracce per un’opera ‘totale’, di forte coerenza interna dettata soprattutto da elementi fortemente contrastanti. Atmosfere rarefatte, falsetti eterei, masse sonore, crescendo esplosivi, ninne nanne ‘infantili’, elettronica calibrata, parti palindrome, archi cameristici, ottoni bandistici, violente distorsioni chitarristiche (Jónsi sfrega le corde della chitarra con un archetto di violoncello), cori maestosi, canto in hopelandic (in islandese vonlenska, non intonazione di testi ma articolazioni che trattano la voce come strumento musicale) e sospettabili ‘sezioni auree’. Tutto ciò che, inevitabilmente, porta alla mente atmosfere e paesaggi lunari quieti e confortanti, o violentemente terrestri, sempre di straordinaria bellezza, di una piccola isola di ghiacci e vulcani sperduta nell’Oceano, dove i mesi invernali sono lunghi e bui e «forse fare buona musica è possibile anche perché non si ha tanto tempo da perdere stando al sole».
L’Intro è parte della title track, ma inversa, in cui già si è accarezzati dal falsetto sovrainciso di Jónsi, che ripete un verso su accompagnamento ostinato fino a scomparire nel magma sonoro di basse frequenze su cui rintoccano i celeberrimi ‘Mi’ che, per mano, accompagnano sull’uscio di un mondo magico. E lì, l’ascoltatore potrà fluttuare tra sogno e realtà, ipnosi, turbamento, estasi, commozione, gioia, fino alle lacrime.
Svefn-g-englar ('Sonnambuli' – anche se englar in islandese significa ‘angeli’) incede per 10:04 minuti su un tappeto sonoro minimale costruito su quattro accordi (Mi+, Re+, Do#-, La+) e la melodia onirica del falsetto di Jónsi; poco dopo il sesto minuto (sezione aurea?), l’illusione di una seconda sezione su tre accordi (Si-, La+, Mi+), ma subito riprende, incessante, il materiale della prima metà del brano, interrotto solo da un improvviso, inaspettato finale elettronico. La traccia sarà rilasciata come primo singolo della band (con Viðrar vel…) e se ne ricaverà un video ufficiale diretto da August Jacobsson, meraviglia assoluta, con la coreografia del ‘Pelan special-needs theatre group’, gruppo di performer costituito da ragazzi affetti da sindrome di Down, autismo e altre disabilità.
Starálfur ('Elfo che osserva') è romanticismo puro, supportato dall’intensa orchestrazione che vede protagonisti gli archi.
Flugufrelsarinn ('Salvatore di mosche') è come osservare da vicino un geyser, aspettandone l’eruzione che arriva puntuale e ciclica ai minuti 3:50 e 6:10, con altissime colonne di suono sulle quali si stagliano gli acuti di Jónsi.
Ný batterí ('Nuove batterie'), ovvero due soli accordi (Si-, Sol+) e un ostinato del basso su cui il canto dialoga con gli ottoni, prima sospeso levitando su un paesaggio lunare, poi bruscamente sbattutto sulla Terra e saldamente ancorato alla ritmica della batteria.
Hjartað hamast (bamm bamm bamm) ('Il cuore batte – boom boom boom'), tra i brani più leggeri e rari in cui Jónsi può estendere la propria voce dal registro più grave a quello acuto; come da titolo, il ‘battito del cuore’ è a volte regolarmente ritmato, altre soffertamente trattenuto.
Viðrar vel til loftárása ('Ottima giornata per un attacco aereo') è la traccia di maggiore durata con i suoi 10:18 minuti; forse il capolavoro dal punto di vista creativo e, sia per numerazione di traccia (7) che per minutaggio iniziale rispetto alla durata totale dell’album, con forti rimandi (seppure, forse, non intenzionali) alla ‘sezione aurea’. La struttura è più articolata e maggiore la varietà armonica, complici linee che s’intrecciano di pianoforte e archi; solo a metà brano si unisce la voce di Jónsi, che, quando al minuto 5:50 detta una pausa (molto dilatata nei live…) porta l’emozione ai limiti delle lacrime. È la B-side del primo singolo e ne è stato tratto un video ufficiale prodotto da Ken Thomas, che affronta in modo diretto, ambientandolo negli anni Cinquanta durante una partita di calcio, il delicato tema dell’omosessualità adolescenziale. Tutti i componenti della band recitano nel video (nei panni di allenatore, arbitro, segnapunti, spettatore).
Olsen olsen (una barretta dolce islandese), cantata in hopelandic, è dichiaratamente «una canzone per bambini» (Georg), quindi opportunamente in tempo ternario, con due sezioni che si alternano, la seconda delle quali è prima ‘timidamente’ enunciata dal flauto, poi dall’intero imponente organico strumentale arricchito di archi, fiati e coro, per un finale tanto orecchiabile quanto maestoso da trasformare una ninna nanna in epico lirismo orchestrale.
Ágætis byrjun ('Un buon inizio') è una passeggiata tra forme laviche ricoperte di delicatissimo muschio: attenti a non calpestarlo deformandone le bizzarre forme naturali.
Avalon è la delicata coda strumentale che riconduce all’atmosfera iniziale dell’album.
Se ne può essere certi, Smekkleysa/Bad Taste aveva visto giusto da subito! E la storia sembra ricominciare: dopo una corposa produzione discografica, videografica, progetti paralleli di Jónsi (solista e con Alex Somers) e Kjartan (che, per questi, lascia la band dopo averle «dedicato la vita»), nell’ultimo album Kveikur ('Stoppino'), del 2013 per XL Recordings, si assiste alla virata più energica ed elettronica, a livelli che, nell’interezza di un album, i Sigur Rós non avevano mai espresso. Ovvero, forse, un (nuovo) buon inizio.
A cura di Raffaele Minella