REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI BARI
N° 31 DEL 11/08/2009
DIRETTORE RESPONSABILE MICHELE CASELLA
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I VIDEO DEI SIGUR ROS DALL'INFANZIA AL MONDO ADULTO
Riconoscibilissimo nella prima parte, l’itinerario visivo dei Sigur Rós segue il processo di crescita umano, dall’infanzia alla preadolescenza, per arrivare all’ingresso nel mondo adulto. Sin dai primi video (2000-2008) si era creata una felice sovrapposizione e identificazione fra la giovane età dei musicisti e la natura geologica della loro isola di provenienza, l’Islanda, una delle terre di più recente formazione del pianeta; nei ritmi distesi dei primi album, questo ci raccontavano i video: il momento che precede il passaggio, l’innocenza di un periodo che prelude al salto dalla rupe, nel vuoto.
Nel secondo album della band, quello che è unanimemente riconosciuto come il suo capolavoro, Ágætis byrjun (2000), compaiono i video Svefn-g-englar e Viðrar vel til loftárása: il primo declina il tema dell’innocenza con l’ausilio di attori affetti da disabilità; il secondo mostra chiaramente la contrapposizione fra l’universo preadolescenziale (innocente, ignaro delle imposizioni innaturali della società) e quello adulto, abbruttito dal lavoro, incasellato nei ruoli imposti e bisognoso di intrattenimento per santificare le feste. Due ragazzini si baciano teneramente sul campo da calcio in cui avrebbero dovuto mostrare la propria virilità e un ‘sano’ agonismo, e sullo sfondo dello sconcerto generale e di una Bibbia caduta dalle mani dell’incredulo parroco, il padre di uno dei due giovanissimi interviene a strappare suo figlio dall’abominio che ritiene stia perpetrando.
In Viðrar… si compendiamo i temi e i tratti visivi della prima fase del gruppo: protagonisti giovani, primissimi piani, natura incontaminata, minaccia proveniente dal mondo adulto. Questo video tratta, in fondo, lo stesso argomento di Scenes From The Suburbs, il mediometraggio tratto da Suburbs degli Arcade Fire e diretto da Spike Jonze: il conflitto generazionale che si configura come guerra e stato d’assedio ma la cui peggiore minaccia deriva proprio dall’inevitabile passaggio da uno schieramento all’alto, quello indotto dalla crescita e cooptazione nel mondo adulto.
Ciò che aspetta i ragazzini con l’inevitabile crescita è ancora sconosciuto, al di fuori della macchina da presa, come nel video di Glósóli (in Takk…, 2005): qui una compagnia di giovanissimi al seguito di un tamburino percorre la natura islandese prima di prendere la rincorsa e saltare da una rupe, senza apparentemente cadere nel vuoto. L’unico bambino che ha delle incertezze temporeggia sul margine, prima di seguire, poco convinto, gli altri (cadrà?), a indicare che occorre arrivare al giusto livello di maturazione per operare il cambiamento necessario, per saltare dall’altra parte, per abbandonare la certezza delle terre battute della propria infanzia e prepararsi a esplorarne altre.
E se nello stesso Takk… il video di Hoppípolla ritrae degli anziani, lo fa solo per mostrarli mentre saltano a piedi uniti nelle pozzanghere, suonano i campanelli di sconosciuti per poi scappare, giocano alla guerra in un vagheggiato ritorno all’infanzia proprio perché è quello il periodo in cui si è – forse – più felici.
Con Valtari (2012) si interrompe la fusione di immagini e musica realizzata fino all’album precedente, Með Suð Í Eyrum Við Spilum Endalaust (2008), da cui era tratto il video ‘scandaloso’ di Gobbledigook, un cortometraggio – ritenuto adatto a un pubblico di soli adulti – che segue la corsa gioiosa, l’esplosione di vitalità di un gruppo di giovani nudi sulla spiaggia. Valtari Film Experiment è l’insieme di sedici cortometraggi realizzati da quattordici registi a cui la band islandese aveva fornito un budget perché realizzassero «qualsiasi cosa venisse loro in mente ascoltando le canzoni di Valtari». L’idea alla base dell’esperimento era quella di mettere in pratica la predisposizione del gruppo all’apertura delle interpretazioni: «Non abbiamo mai concepito la nostra musica in funzione di una riposta emotiva pre-programmata. Non vogliamo dire a nessuno come sentirsi o cosa trarne. Con i film [del Valtari Film Experiment] letteralmente non avevamo idea di cosa i registi avrebbero prodotto. Nessuno di loro sapeva cosa stessero facendo gli altri». Un momento di passaggio, inevitabilmente. Pur non avendo mai voluto imporre un’interpretazione a partire dalla propria musica, i video fin qui realizzati si sposavano alla perfezione con il paesaggio nordico e insulare, a tratti incontaminato, dell’Islanda. Lasciando ad altri la possibilità di interpretare liberamente la trasposizione visiva delle suggestioni sonore, i Sigur Rós hanno preparato il terreno a un cambiamento, al passaggio sull’altro versante che si è realizzato con Brennisteinn (2013). Abbandonata la natura vista come terra madre accogliente e culla dell’infanzia, questo video è paragonabile più a un’esplosione vulcanica, all’affacciarsi – sanguinoso, doloroso, eppure necessario e affascinante – in una nuova fase.
Il video di Brennisteinn, diretto da Andrew Thomas Huang, segna il passaggio all’età adulta del gruppo in favore di un impatto visivo forse maggiore, ma anche meno in linea con i video precedenti.
Abbandonati i ritmi lenti, i primissimi piani, il contatto tangibile con la natura islandese, Brennisteinn si configura come un sacrificio rituale dai toni inevitabilmente dark: unica nota di colore il giallo acido delle corde, delle esalazioni, della colata lavica, e che retroillumina la luna in un video che segna il rito tribale di accettazione nel mondo adulto. Ecco il motivo della trasformazione, l’incubazione in un corpo che, squarciato, dà vita a nuove forme umane pronte allo scatto: sono definitivamente abbandonate le tematiche adolescenziali che fino a Með Suð… avevano contrassegnato il gruppo, adesso qualcos’altro si affaccia, una nuova fase ha inizio.
A cura di Carlotta Susca