REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI BARI
N° 31 DEL 11/08/2009
DIRETTORE RESPONSABILE MICHELE CASELLA
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LA RECITAZIONE CINEMATOGRAFICA VISTA DA CRISTINA JANDELLI, UNA CONQUISTA IN PRIMO PIANO
Un mezzo primo piano,
esattamente. «Scena 14. Realismo. L’immagine a grandezza naturale di Barnes,
capo della banda di fuorilegge, che prende di mira e spara direttamente verso ciascun
individuo del pubblico (l’effetto è ottenuto avvicinando la ripresa).
L’emozione che ne consegue è straordinaria. Questa parte di scena può essere
adoperata tanto all’inizio quanto alla fine del film, come preferisce il
proiezionista». Una delle inquadrature più famose di sempre, donataci da The Great Train Robbery (1903) di Edwin
S. Porter, così viene descritta nel catalogo promozionale dell’epoca. In quel momento, nel volto dell’attore Justus D. Barnes, formatosi nel vaudeville, sta germinando «il personaggio cinematografico», scrive Cristina Jandelli
in L’attore in primo piano. Nascita della
recitazione cinematografica (Marsilio). Un saggio, quello dell’autrice – da
anni impegnata nello studio di teatro e grande schermo dalla parte degli
interpreti –, che parte delle origini
per arrivare ai primi anni Trenta del Novecento (il sonoro, poi, farà il
resto…).
Dal cinema attrazionale a quello narrativo, dai corti ai lungometraggi, dalle meraviglie alle storie. Da un cinema ancora privo di una sua grammatica a quello che la produrrà e istituzionalizzerà. Il percorso dell’attore cinematografico si muove dentro questi ingranaggi, tra le prime dicotomie fascino/repulsione per il nuovo mezzo che scalzerà progressivamente il teatro, tra la manualistica specializzata e la pratica del set, l’intuizione e la scoperta, tra il gesto individuale e quello del regista, tra continuità e poi fratture rispetto a codici e modelli derivati da altre forme espressive. Il primo piano come «conquista dell’attore» dentro pagine che ne fanno perno di un’argomentazione, però, più ampia e stratificata, individuando intersezioni, mutamenti, analogie e differenze, nuovi corsi nella reciprocità tra l’evoluzione dell’arte attoriale e quella del linguaggio cinematografico, E, allora, l’attraversamento non può non prevedere i Lumière e Méliès, il teatro e la fotografia, il facial expression film, lo slapstick e il diva film italiano; Ejzenštejn e Griffith rivoluzionari dietro la macchina da presa; i corpi di Charlie Chaplin, Buster Keaton e Max Linder; Leopoldo Fregoli o un gigante del palcoscenico come Ermete Novelli in uno schermo; le “nostre” Lyda Borelli e Francesca Bertini; il volto dell’indimenticabile Renée Falconetti in La passione di Giovanna d’Arco di Dreyer (1928) e quello di Rodolfo Valentino, interprete sensibilissimo e intelligente; la recitazione da Clara Kimball Young a Lillian Gish.
Uno studio attento al contesto così come al dettaglio (e che riesce a supplire anche alla limitata presenza nel libro proprio dell’elemento, in realtà, portante del discorso di Jandelli: le immagini). Tra le righe dell’analisi, inoltre, traspaiono anche il piacere e la curiosità che animano l’autrice: non è così frequente negli scritti di provenienza accademica. E poi, nel tempo delle dirette social, dello streaming, delle stories, dei selfie, imbattersi in Eleonora Duse, interprete al cinema di un solo film, Cenere di Febo Mari (1916), che racconta la macchina da presa come «un vetro che vede le anime»; o ancora in un manuale degli anni Dieci del secolo scorso in cui l’attore Paolo Azzurri raccomanda a chi recita cosa «l’obiettivo cinematografico deve essere nello stesso tempo: il vostro migliore amico e il vostro peggiore nemico». Ecco, leggere queste parole oggi, che effetto fa?
Articolo a cura di Leonardo Gregorio
L'attore in primo piano. Nascita della recitazione cinematografica
Di Cristina Jandelli
Edizioni Marsilio
Pagine: 192